
Rossella Pretto dialoga con l’autrice
È l’anno 1887, carico di un misterioso magnetismo che a Napoli ha condizionato molte coscienze. Tornano i luoghi mitopoietici del mondo narrativo di Wanda Marasco. Una torre svetta come un arciere a difesa della città sul ciglione orientale della collina di Capodimonte. È la dimora di Ferdinando Palasciano, medico filantropo e patriota, e di sua moglie, la nobildonna russa Olga de Wawilov. La loro storia, rimasta impressa nelle pietre della torre e in un punto spettrale del giardino, è quella di un grande amore e della follia che colpì Palasciano negli ultimi anni di vita. Si entra nel teatro di una coscienza continuamente scissa tra realtà e ricordi. Palasciano è stato internato nella casa di cura Villa Fiorita. Trascorre i giorni scavando in sé stesso e nella Storia. Si autoprocessa, si difende fino a creare l’apologia di un umiliato che ha scelto da sempre la ferita. Di schierarsi dalla parte della ferita, ma ora e lui a patirne una, incurabile e potentemente rivelatoria delle fragilità umane. Il romanzo e il racconto della sua memoria che scorre come una drammaturgia in atto. L’incontro con Olga, entrata nel suo studio zoppicando, quello con il “pazzo arcaico”, le persecuzioni, i deliri che lo hanno portato in manicomio, il legame intenso con l’amico d’infanzia sono i fatti rivissuti come storie dell’anima. Ferdinando scopre che nel dolore anche gli ideali diventano malattia dell’essere e persino quanto la follia, amleticamente, sia un metodo, la chiave ermeneutica utile a reinterpretare miserie, eventi storici e sbandamenti. E una disamina all’infinito. Non cesserà nemmeno con l’uscita dal manicomio e il ritorno alla torre. Qui, nella dimensione di un esilio, vengono a trovarlo gli amici. Sono artisti e uomini illustri spinti dalla volontà di aiutarlo. Si infettano della stessa ricerca di verità condotta dalla follia di Ferdinando. E del passo zoppo di Olga, metafora della claudicanza universale.
WANDA MARASCO è nata a Napoli, dove vive. Ha ricevuto il Premio Bagutta Opera Prima per il romanzo L’arciere d’infanzia (Manni 2003) e il Premio Montale per la poesia con la raccolta Voc e Poè (Campanotto 1997). I suoi testi sono stati tradotti in inglese, spagnolo, tedesco e greco. Il genio dell’abbandono (Neri Pozza 2015) è stato finalista alla prima edizione del Premio letterario Neri Pozza, selezionato per il Premio Strega 2015 e portato in scena dal Teatro Stabile di Napoli per la regia di Claudio Di Palma. Nel 2017, sempre per Neri Pozza, è uscito il romanzo La compagnia delle anime finte, arrivato finalista al Premio Strega.